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QUANDO ALIENIAMO PARTI DI NOI STESSI




"Ho sensazioni dunque sono” per dirla con le parole di Descartes.

Alcune parti corporee di noi stessi si percepiscono meno o per nulla, in quelle aree si è ciechi o insensibili verso se stessi o ancora vaghi e confusi verso alcuni aspetti di sè. Quelle parti del corpo non sentite e non percepite fanno parte di quelle funzioni del sé rinnegate, le parti alienate del sé.

Tutti noi possediamo qualche area della vita sensoriale che abbiamo limitato o indebolito, o come si definisce in termini della psicologia della Gestalt “desensibilizzato”. Come per ogni cosa vale il grado, lungo un continum che va da una desensibilizzazione grave come lo stato di incorporeità presente nelle psicosi, alla più selettiva desensibilizzazione che noi tutti utilizziamo per reagire a disagi temporanei, distanziandoci da essi e quindi desensibilizzando quella parte; allontanandoci ed essendo meno in contatto con quella parte può lederci meno. Molti di noi però limitano alcune aree dell’esperienza non solo in casi di reazioni a disagi temporanei. Ci si può accorgere di non sentire la tristezza in situazioni in cui sarebbe opportuno, oppure non sentire quel piacere sessuale che tutti gli altri ci raccontano di provare, oppure si è desensibilizzati verso alcuni sentimenti quando qualcuno ci critica. Esistono quindi dei vuoti moderati nella nostra esperienza percettiva di sé nel mondo. Altre volte è una più generale e cronica mancanza di vitalità e della capacità di apprezzare la vita. La vita non è brutta, semplicemente monotona. Persino occasionali alti e bassi non sembrano avere grande importanza, hanno una scarsa presa o poco risalto nell’esperienza. Più i nostri sentimenti e la connessione con l’ambiente diventano inaccessibili più buona parte del nostro senso del sé e della nostra esperienza di vivere diventa inaccessibile. Isoliamo le nostre funzioni di contatto in un ambito ristretto. Il risultato è che arriviamo a sperimentare la vita avendo la sensazione di avere a che fare sempre con le solite cose. Esistono rari momenti salienti e di contrasto, eccetto quando forziamo la nostra esperienza attraverso l’edonismo, le droghe, l’alcool o la ricerca del pericolo. O coloro che rifuggono i propri sentimenti attraverso l’intellettualizzazione e la vita incorporea di puro pensiero. Risensibilizzarci non è una faccenda semplice, non è soltanto il risultato di esercizi di consapevolezza sensoriale. Risvegliare i nostri sensi significa risvegliarci al dolore e alla tristezza così come alla gioia e al piacere. La prima cosa richiede il sostegno generoso che possa aiutarci a sopravvivere al nostro dolore e di cui abbiamo abbastanza fiducia per lasciarci guidare attraverso il labirinto di sentimenti che ci confondono. La seconda richiede che troviamo il coraggio di stare nel mondo e di accettare la pienezza di vita piuttosto che accettare di essere vivi solo a metà.

La desensibilizzazione dunque avviene quando alcune sensazioni ci disturbano e, non potendo agire direttamente sulla fonte, troviamo un modo per sfuggire a questo disagio appunto alterando la sensazione, riducendo la propria qualità di attenzione o inibendo la capacità di percezione di se stessi, del proprio corpo, dei propri organi e delle proprie sensazioni. La desensibilizzazione quindi diminuisce la sensazione del disagio, ma esige un prezzo da pagare in quanto riduce la capacità di sentirsi.

Ma perrché le sensazioni posso essere fonte di disagio? Esistono fondamentalmente tre motivi: perché sono intrinsecamente spiacevoli come il dolore fisico, la fame, il freddo; perché segnalano bisogni che non possono essere soddisfatti o scaricati, come il bisogno di contatto umano che se non soddisfatto diviene solitudine profonda; o perché possono essere in conflitto con convinzioni radicate. Ad esempio quando sensazioni e sentimenti sessuali vengono rinnegati poiché vissuti come intollerabili se ritenuti cattivi o sporchi, o ancora se l’espressione naturale di tristezza data dalla perdita è vista come un segno di debolezza.

Per esempio in casi di abuso sessuale è molto chiaro come il dolore sia fisico che emotivo conseguente portino al bisogno di evitare la propria esperienza corporea e sensoriale. La desensibilizzazione intacca quindi la nostra abilità di prestare attenzione alle sensazioni e alla vitalità del nostro tessuto.

Sono tre i processi coinvolti nella desensibilizzazione e vanno dall’evitamento momentaneo a processi più profondi, strutturati e duraturi.

-Attenzione selettiva: quando evitiamo di dare attenzione all’esperienza del corpo distraendoci oppure spostando la nostra attenzione su altro prima che la sensazione sia ben emersa.

-Interferenza con la respirazione: attraverso il respirare sentiamo, percepiamo, il respiro da vitalità. Se blocchiamo il respiro al minimo sufficiente per vivere blocchiamo tutte le sensazioni emergenti.

-la contrazione muscolare cronica: questa fa in modo da respingere la sensazione corporea derivata da quella parte contratta. Se ad esempio contraete una parte del corpo per un po’ di tempo inizialmente si prova fastidio ma successivamente si perde sensibilità verso quella parte fino a non sentirla più.

L’evitamento dell’attenzione e l’interferenza del respiro sono fenomeni nel comportamento momentaneo, mentre le contratture sono meno evidenti poiché è un atteggiamento che diviene statico e strutturale. E’ insito nella postura e nei muscoli, non è sentita dalla persona, è una lacuna nella consapevolezza e può essere evidenziata dal terapeuta toccando il paziente.

Risensibilizzare significa intervenire per ottenere una buona sensazione e questo attraverso il lavoro su quegli elementi appena osservati che la distolgono, quindi sulla concentrazione per ovviare allo spostamento dell’attenzione, sul respiro, e sul lavoro sul corpo.

Quando la persona rivitalizza il proprio sé corporeo spesso la prima esperienza è quella di sentire dolore, sofferenza, disagio, fastidio, o riaprono una ferita emotiva, proprio perché di solito è per quel motivo sono state desensibilizzate. Vanno risperimentate, in un altro contesto, protetto, con l’aiuto e il supporto di una persona esperta, ma questo è fondamentale per il miglioramento per il contatto e la riappropriazione di sè. Un lavoro delicato, in cui dare il massimo del sostegno per accompagnare l’altro in questo suo viaggio verso la sofferenza per la riappropriazione di se stesso.

Dott.ssa Rebecca Cataldo

Bibliografia:

J. Kepner, Body Process. Il lavoro con il corpo in psicoterapia. Ftanco Angeli, Milano, 1997.


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